L’ambito 12 (Valle Sabbia) ha raccolto e condiviso questo interessante contributo: la testimonianza di una famiglia affidataria, di un affido speciale: un pronto intervento.

Io e A. siamo al lago un venerdì pomeriggio. Non sa nuotare. Raccoglie i sassi, e si aggira con la sua maschera nuova ad esplorare il fondale verso la riva, dove tocca.
Poi gli propongo di fare dei tuffi, dalle mie spalle. E dopo una prima esitazione, comincia a prenderci gusto. A salire in piedi sulle spalle e a lanciarsi nell’acqua alta. A riemergere e cercarmi con gli occhi, pieno di adrenalina e di emozione, per farsi recuperare dove non tocca. Ride, mi chiama per nome quando fingo di allontanarmi, sperimenta, affonda e riemerge in mille modi diversi. Passiamo tre ore così. Ho le spalle doloranti e non smetto di ridere.  E lui, dopo aver tanto riso e bevuto mezzo lago, ha perso la paura dell’acqua e di me. Mi prende per mano, mi parla con naturalezza e mi vede, finalmente. Affidarsi a me in questa situazione molto concreta, ha sbloccato qualcosa dentro di lui e dentro di me, più di mille parole.
A. è un bambino arrivato a casa mia solo da qualche giorno, in affido. Lo sto accompagnando per un breve tratto della sua vita che lo porta dalla sua famiglia di origine ad una nuova destinazione. Un tratto di soli 12 giorni che rappresenta per lui un nuovo inizio. 
Un pronto intervento che per la sua breve durata e complessità estiva h 24, sembra più una corsa sulle montagne russe che un affido. Eppure questa corsa fa emergere risorse inaspettate e diventa un momento indimenticabile.
Gli amici attorno a me si stringono in un abbraccio fisico e virtuale offrendo il loro aiuto e la rete dei servizi sociali mi accompagna per mano: Lara, Iris, Giulia e il suo educatore Massimo.  Come in una staffetta, io so che dovrò ‘correre’ solo per un tratto di strada e poi affidare il minore alla struttura successiva che se ne occuperà. E ogni tratto è fondamentale. Lo capisco dalla cura e dall’attenzione che c’è nei confronti del minore e nei miei confronti.

Faccio degli errori: A. è in grado di mettere virtualmente il dito nei miei punti deboli come bene sanno fare i bambini. Ma i tempi di elaborazione devono essere brevissimi perché i giorni sono contati. C’è il qui e ora. Nelle cose belle e nei momenti critici. Nell’amore che riesco a donare e in quello che ricevo. C’è il momento del distacco. E la fiducia nelle mani che lo accolgono per il prossimo tratto di strada. C’è l’accettazione di aver fatto del proprio meglio, con quello che si ha, con le proprie risorse disponibili, con ciò che si è.
Rimane la domanda sul senso di un’esperienza tanto breve: che senso ha avuto per lui, che cosa gli è rimasto. E sorrido mentre ascolto quello che ha lasciato dentro di me.

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