I protagonisti della storia

  • Famiglia naturale: Alla, 35 anni, madre single
  • Minore in affido: Fallou, 7 anni
  • Famiglia affidataria: Alessandro (41 anni), Mara (38 anni), Achille (7 anni), Benedetta (5 anni), Francesca (4 anni)
  • Le reti: la famiglia naturale, la famiglia affidataria, l’assistente sociale, la scuola elementare, l’oratorio, il gruppo di famiglie affidatarie.

Fin da piccola ho sempre avuto in testa l’idea che avrei adottato uno o più bambini: adoravo l’idea di poter accogliere qualcuno che non aveva avuto la mia stessa fortuna, crescere in una bella e sana famiglia.
Mi sono sposata, nel giro di qualche anno abbiamo avuto tre bambini e, pochi mesi dopo la nascita della terza figlia, ho capito che era il momento di iniziare a tirar fuori dal cassetto il desiderio di aiutare qualcuno concretamente. Una mattina io e mio marito decidiamo di rivolgerci all’assistente sociale del nostro comune per avere informazioni su chi contattare per iniziare un percorso di adozione e invece l’assistente sociale ci dice: “Ma non avete mai sentito parlare di affido famigliare? Perché non andate a sentire di cosa si tratta? Proprio in queste sere parte nel comune vicino un corso di “formazione” sull’affido e credo che la cosa vi entusiasmerà”.
Non conoscevamo l’affido famigliare, ma si sa la vita è foriera di sorprese e la nostra avventura nel mondo dell’affido è iniziata proprio così: dopo un periodo di formazione, eccoci finalmente pronti ad accogliere qualcuno.
E’ passato poco più di un anno prima che arrivasse la chiamata tanto attesa, ma del resto non è sempre facile abbinare un minore ad una famiglia.
Ci veniva proposto un affido consensuale: una giovane mamma senegalese, Alla, doveva recarsi per alcuni mesi in un’altra regione per motivi di lavoro e non poteva portare con se il bambino e così, non avendo una rete parentale a cui affidare il minore, ha pensato di rivolgersi al servizio sociale per chiedere aiuto e il servizio gli ha proposto l’affido temporaneo. L’affido si sarebbe concluso entro qualche mese, appena la mamma si fosse sistemata definitivamente Fallou – questo il nome del bambino – l’avrebbe raggiunta e avrebbe ricominciato una nuova vita con lei.
E così Fallou è arrivato da noi a fine aprile: eravamo tutti elettrizzati dall’inizio di questa nuova avventura. Nostro figlio Achille poi non vedeva l’ora di avere un compagno di giochi maschio in casa. Nei primi giorni tutto è stato idilliaco, poi ecco arrivare le prime difficoltà e non per Fallou, che in casa e in famiglia si era integrato benissimo, ma proprio per Achille che, dopo i primi giorni di entusiasmo, si era reso conto di dover dividere la camera, la scuola, i giochi, il tempo libero con qualcun’altro e nel giro di pochi giorni ha iniziato a manifestare un vero stato d’insofferenza. Sono trascorse alcune settimane veramente difficili da gestire, dove di giorno chiamavamo psicologa e assistenti sociali per capire cosa era più giusto fare e la sera chiamavamo le altre famiglie affidatarie per confrontarci e avere consigli su come gestire la situazione.
Abbiamo anche pensato di mollare: non potevamo mettere a rischio l’equilibrio della nostra famiglia e dei nostri bambini che iniziavano a farci domande precise sull’affido e sembravano non capire bene di cosa si trattasse. Poi ecco la svolta: nel primo fine settimana in cui Fallou deve rivedere la mamma e stare con lei per alcuni giorni, chiede ad Achille di accompagnarlo nel luogo dove vive. Achille accompagna con mio marito il bambino ed ecco che si ritrovano davanti ad un garage: questo è il luogo dove ha vissuto fino a qualche settimane prima il nostro nuovo amico. Achille ora ha “toccato con mano” il disagio e le difficoltà da cui proviene Fallou, che ha voluto mostrargli il suo mondo: questa è stata una grande lezione di vita per tutti noi.
Da quel giorno le cose hanno iniziato ad andare decisamente meglio e Fallou ha terminato il suo primo anno scolastico circondato dall’affetto della nostra piccola scuola di montagna, si è avvicinato al mondo dell’oratorio e della parrocchia e ha trascorso un’estate come mai aveva avuto: un’estate di giochi e divertimenti sani in famiglia.
Ecco però che, a fine luglio, Alla chiede di poter tenere il bambino con sé per alcuni giorni, ma quando poi è il giorno di riportare il bambino, sparisce. Trascorrono alcuni giorni frenetici, fatti di un susseguirsi di pensieri, congetture, ipotesi, giorni che sembrano interminabili cercando di rintracciare Alla e Fallou, chiamandola mille volte al telefono senza avere una risposta, chiamando i servizi sociali per sapere cosa fare e poi cercando di mantenere la calma di fronte ai nostri figli.
Dopo qualche giorno di silenzio e preoccupazioni riceviamo una telefonata proprio da Alla, una telefonata in cui ci dice di aver perso il lavoro e di aver deciso di partire e portare con sé Fallou, una telefonata con dei toni anche abbastanza accesi: da una parte la nostra preoccupazione sulla sorte del bambino (e anche sulla sua sorte di giovane donna in un paese straniero), dalla sua parte lo stato di disagio e forse anche le preoccupazioni legate a situazioni di vita difficoltose.
La nostra famiglia non si è scoraggiata e nemmeno demotivata e questa storia ha arricchito il nostro bagaglio di vita. Pensiamo spesso a Fallou e anche i bambini lo nominano talvolta e chiedono di rivederlo, ma non lo abbiamo mai più sentito.
Questa conclusione così brusca e improvvisa è stata difficile da accettare sia per noi che per i nostri figli, ma nell’affido ogni momento ti invita a riflettere e a pensare diversamente da prima; a trovare una soluzione alla situazione che ti si pone innanzi, a stare calmi nonostante tutto, a non perdere di vista che stai aiutando qualcuno, a lasciarsi un po’ andare e a non irrigidirsi in schemi preconfezionati e non è facile visto che ne abbiamo così tanti.

“Ogni famiglia ha un segreto, e il segreto è che non è come le altre famiglie”

(Alan Bennett)

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