I protagonisti della storia

  • Famiglia naturale: Elena 32 anni e Paolo 68 anni, genitori di Ettore, Gianni e Martino, i primi due in affido, il più piccolo a casa coi genitori naturali.
  • Minore in affido: Ettore, 9 anni, in affido da due anni in maniera stabile, dopo un anno di affido solo il pomeriggio.
  • Famiglia affidataria: Maria, 55  anni e Franco 60, e i loro due figli, Marisa 30 anni e Marco 28 anni.
  • Le reti: Chiara, l’assistente sociale.

Quel giorno, il giorno dell’arcobaleno, dopo due anni di affido, Elena, Paolo, Ettore, Maria, Franco e Marisa si erano trovati tutti nell’ufficio dell’assistente sociale. Bisognava spiegare a Ettore che sarebbe rimasto in affido per altri due anni: lo aveva deciso il giudice del tribunale minorenni, che conosceva la sua storia.

Dopo aver  ascoltato i suoi genitori e i suoi affidatari e letto la relazione della assistente sociale e della psicologa, aveva ritenuto che questa fosse la scelta migliore, per il bene di Ettore.

Ettore aveva iniziato ad andare da Maria 3 pomeriggi alla settimana, quando in prima elementare aveva mostrato di non riuscire a stare fermo in classe, nessuno giocava con lui perché litigava sempre e a volte faceva male ai compagni.
Con tanta fatica Maria e sua figlia Marisa, che lo seguivano il pomeriggio, erano riuscite ad aiutarlo a capire e rispettare alcune regole, e sapevano anche fargli sentire che si poteva fidare.

A casa sua però  era proprio ingestibile.

La sua mamma era stata messa a 6 anni in una specie di collegio dalle suore e quando era tornata a casa, a 17 anni, si era sentita sempre non accettata, di conseguenza si era messa molte volte nei guai. A 20 anni, una notte in cui dormiva per strada, come tante altre volte, Paolo l’aveva incontrata e, intenerito, l’aveva portata a casa e sposata.
Con lui  aveva avuto 3 poi figli, ma si comportava sempre come una adolescente.

Il papà di Ettore, a sua volta, era stato sempre solo: da piccolo la madre aveva lasciato suo padre per fuggire a Milano,  affidato ai nonni non aveva quasi più visto né il padre né la madre. Si era sposato  una prima volta, ma la moglie se ne era andata senza più tornare. Elena era più una figlia problematica che una vera “compagna”, ma lui con infinita pazienza la teneva con se’ perdonandole tutto.
Per paura della solitudine non sapeva dare regole a nessuno, neppure ai suoi figli: era come un nonno per tutti. Lui e la moglie avevano accettato il rinnovo dell’affido con molta fatica perchè volevano bene a Ettore, e sapevano entrambi come era duro non poter stare coi propri genitori.

Maria e Franco, ed i loro figli, avevano accettato di continuare l’affido pur se l’esperienza non era sempre facile.
Dopo la lettura del decreto del tribunale minorenni, e la spiegazione, Ettore guardava tutti quei grandi, presenti nella stanza e metteva a fuoco che non sarebbe tornato a casa.
Fissando Chiara, l’assistente sociale, piangendo, le aveva chiesto: “Ma tu lo daresti in affido il tuo bambino?”
Chiara aveva sostenuto il suo sguardo e la sua sofferenza, ma la mente correva a Giulio, suo figlio, che aveva la stessa età di Ettore. Cosa avrebbe provato se si fosse trovato nella stessa situazione? A lui poteva succedere? In un secondo molte cose le erano passate davanti, e si era fatta strada una risposta molto vera: “Si Ettore, se io non fossi in grado di occuparmi di lui, se mi ammalassi e dovessi curarmi per un tempo lungo, per esempio, vorrei che lui potesse avere vicino qualcuno, sarebbe il mio modo di continuare a volergli bene, in una maniera ancora più forte, perché mi mancherebbe da morire e sarei forse anche gelosa del tempo che non posso passare con lui.”

A questo punto, Elena con molta umiltà aveva aggiunto “Sai Ettore, avrei voluto che mettessero anche me in affido, forse sarei riuscita a fare la mamma, ma invece ne’ io ne’ tuo papa’ abbiamo avuto una famiglia e non abbiamo imparato a fare i genitori. Abbiamo bisogno che qualcuno ci aiuti”
Maria, che con Elena aveva spesso avuto momenti di incomprensione perché non concepiva il suo modo di comportarsi, guardava i genitori di Ettore con occhi diversi e: “Sai Ettore io ho avuto fortuna, ho avuto una famiglia che si è occupata di me, e tante altre fortune. Un giorno, per esempio, stavo per perdere mio figlio in un incidente, ma si è salvato. Allora ho pensato che era importante ricambiare la mia fortuna occupandomi di te, aiutando i tuoi genitori che sono stati meno fortunati.”

Ettore continuava a piangere, ma con meno disperazione; anche tutti gli altri nella stanza, piangevano dentro di loro: nell’aria c’era una pioggia di lacrime leggere, ma quel giorno a tutti è sembrato fosse attraversata da una luce che creava un arcobaleno.

L’affido di Ettore è andato avanti per molti anni, anche con difficoltà e momenti di incomprensione, ma quando era necessario ricercarne il senso, tutti andavano con la mente al giorno dell’arcobaleno.


“Di molte emozioni posso essere orgoglioso, ma ce n’è una in particolare di cui vado fiero. Si tratta delle cicatrici che ho nel cuore. Le ho colorate così bene che adesso sembrano un arcobaleno”.
Orazio

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